Le Poète est semblable au prince des nuées
Qui hante la tempête et se rit de l'archer
Exilé sur le sol au milieu des huées,
Ses ailes de géant l'empêchent de marcher.

venerdì 21 marzo 2008

Il presunto "valore" della vita umana.


Si fa un gran parlare del “valore della vita” ed altre menate del genere che oggi vanno tanto di moda e sono tanto politically correct e ti fanno sentire anche un po’ più Balter Beltroni, da scordarsi che la vita non è “propriamente” un valore in sé.

Questo era più evidente nel passato, quando della vita degli altri non fotteva un cazzo a nessuno ed era considerato normale che, ad esempio, chi mettesse in dubbio l’autorità, che so io, della Chiesa, venisse arrostito con molto timo ed una foglietta di alloro.

Ancora oggi, fuori dall’ipocrisia buonista praticata in occidente, le cose restano tali.

In realtà “la vita umana” è un bene ampiamente barattabile: è barattabile ogni qualvolta vi sia una scarsezza di risorse tali da giustificare l’appropriazione di beni sui quali altri hanno il controllo; è barattabile nel nome delle regole che una data comunità adotta (volente o nolente non importa) al fine di escludere quegli elementi che al corpo sociale, così strutturato, possano risultare nocivi; è barattabile persino quando si tratta di innalzare gli standard del proprio benessere nonché quando si tratta di decidere obbligatoriamente tra la vita e la morte di due soggetti etc.

Premesso ciò, quello che oggettivamente conta nella vita è la “qualità” e non la “quantità” .

Sinceramente sono piuttosto drastico sul punto e per i malati terminali, che non hanno più nulla da poter sperare, sarei per l’eutanasia obbligatoria, pratica comunque già conosciuta da secoli a livello popolare, come ad esempio in Sardegna, ove la terribile femmina Accabadora (tipologia di donna nella quale possiamo rivedere la manifestazione più funesta delle tre possibili della dea Hecate) si recava presso il capezzale del moribondo soffocandolo, strangolandolo, o spaccandogli il cranio o l’ osso del collo.

Essendo però il concetto di “qualità” piuttosto sfuggente e soggettivo, ritengo che sia più giusto che ognuno possa decidere per sé quando la “qualità” della vita non lo soddisfi più e porre in tal modo fine alle proprie sofferenze.

Non trovo quindi affatto strano che la povera Chantal Subire o Hugo Claus (che per sua fortuna abitava in Belgio), abbiano deciso di seguire questa strada e sono a favore del fatto che chi decide di rinunciare alla propria esistenza sia aiutato a farlo nel modo più indolore possibile.

Dato che è tecnicamente possibile predisporre appositi strumenti (no, non sto pensando alla cabina dei suicidi di cui Bender intendeva servirsi in “Futurama”, maligni :P) in modo da lasciare integra la “coscienza” dell’operatore che aiutasse chi ha deciso di fare l’ultimo viaggio, non vedo quale sia il problema.

D’altronde gli epigoni del libero arbitrio, non dovrebbero avere nulla da obiettare ;)

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